"Vi ho condotto per mano
nella cupa delle parole
e non ho saputo dirvi
dove ci portavano.
In compenso
ho riposto le vostre infanzie
ed i ricordi tutti
in un fazzoletto
al caldo sotto la camicia
come l’abitino che ci mettevano sul petto
le madri premurose,
un sacchetto di benedizioni argentate,
che oggi reca calore a me
e lunga via a voi.
Ho tessuto nidi
coi racconti delle nonne
per ritrovare la voce che cullava
ombrose storie di janare e monacelli
accesi in casa ed anche sui cavalli.
Che lezione quella degli avi
che piantavano alberi in vecchiaia
pur sapendo di non poterne mangiare!
Contadini che fecondavano la terra
con sudori e con madonne,
e infine, quando la vita finiva,
non certo la fatica,
riposavano il capo
sui cuscini ricamati
al sole invernale
sugli usci del Casamale.
Mi avete visto amare
come in una favola,
sempre perso
dietro quell’aquilone impossibile,
scortato dal vento della vita
all’illusione delle Esperidi...
E il bello è che m’avete creduto,
perché non c’è cosa migliore
che sognare tutti insieme,
sognare gioie e dolori
e poi trattenere la mano
di chi si perde per la via.
Infine la ferita di accompagnare
dei defunti le parole amate
(o erano amare?)
accese sulla via del cimitero,
dove non hanno voluto entrare,
parole scivolate lungo il lagno
sulla rena affollata anche dai silenzi.
Ed ora sono ancora lì
che attendono di entrare nel buio
appena si spengono gli ultimi lumini".
(Angelo Di Mauro, La cupa delle parole, 25 ottobre 2007, in: http://www.angelodimauro.it/PAGES/home.htm)